NUMERO DIECI - URBEX
Ci colleghiamo con Urbex in videochiamata perché sono anni che ormai non vive più in Italia. Attualmente si trova in Spagna per una residenza artistica. Il suo piano è esplorare il cantiere della Y Basca, la parte nord della TAV spagnola, un enorme svincolo in costruzione, tunnel e ponti. Non dovrebbe stupire questa fascinazione, vista la sua tag. Ma procediamo con ordine:
Come hai iniziato?
Il primissimo contatto fu alle medie, quando un compagno di classe con cui andavo in skate mi diede una bomboletta incoraggiandomi a fare una tag dietro lo skatepark. Ricordo ancora il suo commento profetico: “wow la prima tag a spray, avrai una lunga carriera da graffitaro!”.
Dopodiché lo persi di vista e per qualche tempo non conobbi altre persone interessate ai graffiti, cosí ho iniziato a frequentare un forum, Graffiti Forum Community. Ho iniziato i graffiti lì, verso il 2007/2008. Facevo le battle di bozze, cercavo di fare i wildstyle e la gente mi commentava di non mettere i loop alla cazzo. Gradualmente ho coinvolto compagni di scuola e conosciuto altri writer dal vivo. All’inizio era proprio roba di Uni Posca sulle panchine, poi i primi pezzi e dal 2009 ho iniziato con più costanza.
E cosa scrivevi?
Ho avuto un nome da ragazzino, poi mi hanno preso e l’ho cambiato. Quando mi presero tutti i miei amici con cui dipingevo all’epoca smisero, e io - nonostante fossi l’unico ad essere preso - fui il solo a continuare. Dopodiché iniziai a frequentare più’ spesso a Milano ed entrai in contatto con quella che diventò la mia crew. Quando cominciammo a scrivere W*, smisi di avere un nome personale e per diversi anni mi dedicai a spingere solo il nome di crew. Solo da un paio d’anni sono tornato ad avere una tag personale.

Perché la scelta di non avere una tag personale?
Una parte era paranoia. A Milano era un periodo di investigazione, mi sentivo più sicuro senza un nome. Poi in realtà mi gasava fare le collabo e azioni veloci, uno traccia, uno fa lo sfondo, mi piaceva quell’aspetto collettivo, dove l’azione e la coordinazione del gruppo sono in primo piano rispetto all’aspetto stilistico. In realtà avevo un altro nome con cui facevo esperimenti di stile, soprattutto nei fabbriconi abbandonati, ma ora non lo scrivo quasi più.
I pezzi nella fanzine spesso sono dipinti da solo, è un po’ il contrario di quando facevi solo collabo con la tua crew!
Si, è vero! Ho cambiato molto a livello di approccio e mi piace molto saltare da uno all’altro. Tendo ad adattarmi a con chi sono e al contesto, la stessa cosa vale per lo stile, cerco di non fossilizzarmi su uno stile ma piuttosto provare ogni volta una traccia diversa, in base alla circostanza. Mi piace anche molto pittare da solo. Quando sei da solo sai cosa stai facendo, se vedi, sei visto, mentre se sei in tanti e’ più difficile tenere tutto sotto controllo. Altre volte invece è una questione di avidità, c’è uno spot dove ci sta solo un pezzo e ci vado da solo!


Sei stato molto tempo in Olanda, ha cambiato il tuo approccio?
Si, devo dire di si. Ho conosciuto gente con una visione differente. Quando ero in Italia mi interessavo quasi solo ai treni, mi sembrava di sprecare vernice a dipingere i muri, mentre lì gradualmente mi sono gasato a fare anche altri tipi di spot. Forse anche perché sono arrivato in un posto in cui non ero nessuno e volevo farmi vedere, quindi ho cominciato dal territorio. Ho iniziato a dipingere con amici con stili pazzi e un approccio molto diverso a quello che conoscevo, e sicuramente ne sono stato influenzato. Da li e’ nata la mia seconda crew, N*.
Ad esempio chi?
Ci sarebbero tante persone da menzionare e molti hanno cambiato diverse tag, non saprei nemmeno che nomi farti. Ci siamo conosciuti principalmente nell’ambiente di accademie varie tra Belgio e Olanda. Si vede subito chi sono i writer che hanno fatto l’accademia! Un amico aveva comprato una vecchia PS2 e giocavamo a Need for Speed Underground, è nata così ed e’ cresciuta organicamente tramite viaggi ed amici di amici. Poi qualcuno ha anche la passione per la speed, quindi è andata da sé.
Mi pare che sia rappresentativo di un approccio diverso da quello canonico del writing, cosa che ovviamente si riflette anche nello stile. Com’era la situazione in Olanda?
Si può dire che ci siamo sviluppati in reazione alla scena olandese che in linea generale è molto conservatrice. A livello di superfici è focalizzata sui pannelli, lungolinea e autostrade, poca street perché buffano tantissimo ed in generale non è come Parigi che puoi far le robe di giorno e non gliene frega un cazzo a nessuno. Se passa qualcuno facilmente si fermerà a rompere i coglioni.
Stilisticamente, ho la sensazione si sia fossilizzata nel ripetere lo stesso format in pilota automatico, “graffiti fatti bene” semplici e puliti, con bene o male lo stesso lettering di base, e quindi inizia a risultare un po’ stantio. Se la nostra crew fosse nata a Parigi o a Berlino forse sarebbe stata una come tante, mentre in Olanda siamo stati un po’ un pugno nell’occhio.

È una cosa che ho imparato in Olanda, lì è comune dipingere così in autostrada perché le pannellature sono tutte vetrate e dal di fuori si possono dipingere al sicuro anche di giorno. Poi in Belgio ho trovato molti edifici vetrati vuoti che lo permettevano, e puoi dipingere con calma in posti che di giorno saranno molto in vista, come ad esempio quello nella fanzine. Rosico perchè è durato solo un mesetto, era vicino alla stazione centrale, proprio davanti a un’installazione di bandiere di Buren. Ho volato un po’ troppo vicino al sole!
Visto che anche Life ha parlato di spazi liminali, si è riflesso nel modo in cui disegni questo immaginario? E ti ha fatto disegnare in modo diverso?
Sicuramente si, ma non necessariamente in modo stilistico-formale. Per me la scelta di dove essere presenti e quali superfici dipingere è una parte altrettanto importante nel definire il carattere di un writer e del suo stile. In generale gli spazi liminali sono parte dell’esperienza di ogni writer e uno dei motivi con cui ho iniziato a scrivere questo nome è che volevo di enfatizzare questa relazione tra i graffiti e i “terreni vaghi” delle città’. Ovviamente anche a livello stilistico a spesso mi ispiro alle infrastrutture e faccio robe più geometriche, ma il rapporto con la città’ si riflette anche nei materiali. Utilizzo spesso vernici trovate con rullo e pennello, un po’ perché sono taccagno e non mi va di spendere 30 euro ogni volta per fare un disegno, ma anche perché mi piace l’idea di trovare il materiale in strada e rimettercelo in una forma nuova, sui muri, una specie di economia circolare. Mi piace dipingere quei posti che non pensi inizialmente che possano essere uno spot, e anche quei posti che sono difficili da raggiungere e poi alla fine ci pitti tranquillamente perché, per esempio, di notte è un angolino buio e invece di giorno si vede moltissimo. Spesso calibro il bozzetto avendo già lo spot in mente, non esco quasi mai senza già un idea precisa di dove voglio dipingere.

E ti piace arrampicarti?
Sni, non faccio quelle robe mega rischio di vita, però faccio quelle mini rischio di vita ahahahah
Tra le foto che ci hai mandato c’è una tag incisa, figo!
Premetto che ho l’handstyle peggiore della scena ahahah comunque si quella tag è in cima al camino una centrale termoelettrica, che è anche il punto più alto di Amsterdam, tecnicamente è la tag più in alto della città! Comunque è semplicemente incisa con la chiave in un materiale isolante poroso. C’erano anche un po’ di incisioni e dediche di workers degli anni ’80.
Ma invece cos’hai fatto nella fanzine? Le immagini sono veramente strane, disorientanti a tratti.
L’intenzione era quella! Le immagini nella fanzine sono quasi tutte fotomontaggi, ho rispolverato delle vecchie nozioni di photoshop. Volevo rendere un effetto un po’ onirico combinando foto di pezzi con altre fotografie da esplorazioni varie. Non volevo stravolgere l’integrità delle foto con ritagli e collage estremi, ma allo stesso tempo volevo evitare la classica griglia fotografica delle fanze di graffiti. L’ispirazione mi è venuta dall’immagine che poi e’ diventata la copertina, una foto che ho scattato a una porta dell’aeroporto a Palermo. Quella sovrapposizione di immagini un po’ surreale mi ha fatto scattare l’idea di giocare con questi effetti di foto-nella-foto. Coi fotomontaggi volevo enfatizzare l’attenzione verso il contesto attorno ai pezzi, rendere le immagini meno immediate da decifrare, cosi che ci si debba soffermare un po’ più a lungo per capire cosa si sta guardando.
La chiamata successiva da parte di Urbex la riceviamo il 16 Novembre alle 19 in punto. Siamo al The Graffiti Bench di Bologna, dove abbiamo organizzato il lancio della sua fanzine. Lui non poteva esserci, era ancora in residenza in Spagna, ma abbiamo siamo riusciti comunque a organizzare un live painting in vetrina - in videochiamata Telegram, da un ponte della Y Basca.
Link al video YouTube con anteprima (come Dogma)